mercoledì, settembre 15, 2010

the american



già il fatto che il nome di violante placido sia il secondo ad apparire nei titoli di testa, dovrebbe far molto riflettere su questo film. se poi ci aggiungiamo il fatto che lei è l’attrice protagonista, dovrebbe far riflettere ancora di più.

the american è un film che esiste perchè esiste george clooney e perchè l’ex dottore di er è business. è quasi matematico: dove c’è george ci sono anche i soldi.

la trama del film non è molto chiara. ad esempio sfugge chi sia lui, se non il “signor farfalla”. è una spia? è un criminale? sa il cazzo.

onestamente, non avendo letto il romanzo di booth, non so quanto la trasposizione cinematografica differisca dall’originale. ovvio però che così, qualcosa non funziona.

è un film è girato in maniera piuttosto semplice. e questo lo apprezzo anche. il paesaggio ha un’importanza fondamentale. in questo caso l’abruzzo. e immaginandoci questo film ambientato in qualsiasi altro posto, non starebbe proprio più in piedi.

per il resto ricorda diversi lait motiv di film anni ’70 (ora come ora non mi vengono in mente nomi di registi che girarono quelle pellicole. potrei dire polanski, ma forse ricordo male), dove lo straniero arriva nel paesello di campagna e cominciano ad accadere cose sinistre. ecco, forse allora funzionava, oggi è un po’ eccessivo.

clooney è l’unico volto davvero conosciuto. occhei, per noi c’è pure violante placido, ma all’estero dubito che abbia un nome.

violante placido che ama sempre di più spogliarsi nei film: da moana a ovunque sei e ora the american. un asso nella manica tutti ce lo devono avere. questo è evidentemente il suo. chiamiamolo così, va.

clooney ne firma anche la produzione e pertanto ci mette la faccia. cosa che però, stavolta, non funziona.

corbijn di per sè come regista non era male, o meglio, a me control è piaciuto. c’è anche da dire che lì si operava in un campo che lui conosce bene, cioè quello della musica. qua, andando in abruzzo è andato incontro a una terra straniera. in tutti i sensi.

toy story 3 - la grande fuga



mi è veramente piaciuto un cifro! no, non sono ironico, non sto scherzando. è un film che ha dentro tutto e strutturato per più letture. a dire il vero non sono stato in grado di calarmi nei panni di un bambino e percepire il film con i suoi occhi, ma l’ho letto secondo le mie possibilità. riesce a parlare in maniera piuttosto sincera e la battute non sono poi così tanto idiote.

due le grosse pecche di questo film (che poi sono due argomenti collegati): la scelta dei talent per doppiarlo; che io quando sento fabrizio frizzi parlare mi viene sempre in mente il ruolo che doveva essere suo di padre frediani (chi non ha visto boris non capisce). la seconda riguarda il mal costume di tradurre le canzoni: vabbè che son bambini, ma la scuola non vuole mica far parlare inglese sin dalla tenere età? che cazzo traduci? questi disgraziati mi hanno tradotto you’ve got a friend in me di quel gigante assoluto che è randy newman sia in italiano che in spagnolo! tipo che in iron man traducono back in black con torna in nero?

ah, inoltre il treddì non funziona ancora così bene (solito problema con la scarsa profondità di campo), anche se meglio di avatar, ma cristo dieci euro per un biglietto io non li spendo più.

piesse: mi rendo conto che in questo post non si capisce una beneamata fava, soprattutto per chi non ha visto il film, ma scrivere le trame la trovo un’attività davvero frustrante.

happy family



questo è un nuovo salvatores. più simile sicuramente a quello della trilogia della fuga, ma totalmente diverso dall’ultimo noir. è un salvatores che convince, me molto!

happy family è una commedia un tantino fuori dagli schemi tradizionali (in quanto a plot, non come tempi), il punto forte è di fatto il continuo intercedere tra lo sceneggiatore (fittizio) del film ovvero fabio de luigi e tutti gli altri vari characters: di come lui decida di far evolvere la storia, le loro storie personali ecc… una sorta di rivolta dei personaggi alla più banale delle storie, ma stando attenti a non sfociare in ste cose moderne che poi non si capisce più una mazza. come nel primo finale del film. al pubblico, quello veramente in sala, si rivolge direttamente solo ezio, lo sceneggiatore.

c’è quindi un doppio sfondamento della così detta quarta parete: i personaggi nei confronti dello sceneggiatore, lui a sua volta nei confronti del pubblico.

si torna ai vecchi fantasmagorici attori di salvatores: abatantuono, bentivoglio e il bellissimo cameo di ugo conti. m’ha fatto molto ridere lo scambio di battute tra i due protagonisti, quando bentivoglio dice ad abatantuono: “ma sei proprio sicuro di non essere mai stato in marocco? mi sembrava di aver già visto la tua faccia lì.” e ripensando a marrakech express e cosa significa quel film per me, confesso che mi sono un po’ venuti i lacrimoni agli occhi. quei bei tempi tra amici che non ritorneranno più… che poi è grazie a quei tre film che considero salvatores un dannato genio e un bravissimo cantastorie!

lo stile del regista è molto poliedrico in questa pellicola: si vede che ultimamente ha fatto molta pubblicità, certi movimenti di macchina, ricordano sputati quelli delle pubblicità delle auto (o delle banche). mischia anche quello stile più roccambolesco da macchina a mano, più proprio degli ultimi film noir a quello più lineare e classico della sua trilogia.

boris 3




oserei definire questa terza stagione di boris a tratti pirandelliana, chè magari non capisci subito il senso ma arrivati a tirare le somme fa parte di un più ampio disegno, che almeno io ho interpetato. che sia l’unico coglione?

il messaggio che ci arriva dalle ultime due puntate è chiaro: un’altra televisione in italia è impossibile. tutto farà sempre cagare e starà sempre nelle maglie di una certa rete tessuta meticolosamente per poter imbonire al meglio il paese. per dirla in altre parole: la qualità non paga. e forse il senso più generale di questa terza serie di boris era proprio questo, ecco perchè a tratti a molta gente (me compreso) ha fatto storcere il naso: non si rideva più come nelle due scorse stagioni e le battute erano più difficili da cogliere, molte volte erano addirittura assenti; sembrava una stagione meno tagliente. invece credo che la trovata sia stata proprio questa: si parlava di una nuova serie (medical dimension) che puntava tutto sulla qualità, a fare le cose come gli americani, si diceva che in italia un’altra televisione fosse possibile (un’utopia) e tutti ci credevano. il messaggio è quindi questo: se si punta sulla qualità, nulla fa più ridere, quegli ingranaggi rodati de alla cazzo di cane si vanno a sfaldare.

credo fosse questo il percorso mentale e televisivo che i tre autori di boris volessero farci fare. un percorso di cui te ne accorgi, però, solo all’ultima puntata, quando anche renè capisce, gli scatta quel click, si ribella e ti dice chiaramente che le cose così come sono andate per dodici puntate non erano possibili.

difatti chiusura di stagione per boris davvero entusiasmante! con il fattore del torniamo a fare le cose a cazzo di cane, si è davvero riso. e non poco. se ci fate a caso, non a caso, nell’ultima puntata c’è il ritorno di tutta una serie di vecchie conoscenze: dalla mitica cagna di corinna, a cristina, alla gusberti, a glauco il direttore della fotografia. ottima la trovata del nuovo svecchiato o del vecchio snuovato: servire sempre lo stesso piatto ma con qualche accorgimento nuovo (la locura, la rambata, la frociaggine). il fatto che la televisione voglia qualcosa di nuovo, ma non sappia cosa, senza staccarsi troppo dal vecchio, è data da un fulgido esempio: tutti pazzi per amore. che effettivamente di per sè, come fiction della tivù generalista, non è male. ma se la andiamo ad analizzare bene, le dinamiche sono quelle già viste in capri, elisa di rivombrosa e altra merda simile. boris ha preso la palla al balzo e ha dato l’incipit a una parodia spassosissima della sopvraccitata fiction rai (questo per l’appunto l’elemento di locura): con stanis e le altre due donne che cantano e ballano dammi tre parole: occhi del cuore…

credo non vi sarà una quarta stagione, come già annunciato ufficialmente dagli autori e come lo hanno fatto anche capire nell’ultima: ricordate lo sceneggiatore pentito che dice? secondo lui per ogni serie è inutile spingersi più in là della terza stagione.

si attendono quindi grandi cose per il film… oppure lo sfacielo totale!

colgo l’occasione per dare un più a davide marengo per la sua regia: molto ggggiovane e in linea con la serie. ah, stupendo e sensazionale il cameo dell’immenso paolo sorrentino. e del suo relazionarsi con jonas…

avatar



ecco la grande differenza tra un viral e una pubblicità serrata delle più classiche: il primo solitamente, basandosi di fatto sul passa parola, mette in luce prodotti nuovi e interessanti. il secondo invece, entra in campo, quando il primo non può farlo. questo è il caso di avatar.

uno dei film più inutili che abbia mai visto. sarò snob? può darsi, ma vi giuro che dopo un quarto d’ora di film sono crollato e ho dormito per un’ora buona. ovviamente al risveglio ho ripreso in men che non si dica la trama del film, come se il sonno non fosse mai venuto… per citare un altro grande film (questo sul serio!), i centocinquantanove minuti che seguivano il primo, sono stati i più inutili della storia del cinema. una storia di una banalità inaudita, financo disney nei suoi anni peggiori, sarebbe riuscito a partorire qualcosa di meglio: dai dialoghi da farti sbattere le palle su una cariola (ecco il più bello: “dai, distruggete tutto che poi vi offro da bere al bar!”. giuro, è così!) al cattivo più classico di hollywood (che credo sia una famiglia di attori a cui gli è stato dato il compito di ricrearsi tra di loro e fare sempre la parte dei cattivi-mascelloni nei film americani) e soprattutto, dulcis in fundo, vi erano degli effetti speciali al di sotto delle mie aspettative.

mi era stato presentato come la rivoluzione del treddì, tant’è che io mi aspettavo tipo un’ologramma e invece nella maggior parte delle scene non si riuscivano nemmeno a distinguere i vari campi di profondità.

e per fortuna james cameron ha aspettato più di dieci anni prima di fare questo film, dopo il capolavoro di titanic… nonostante tutto, non conosco una persona che non sia andata a vederlo o che non abbia in programma di farlo. poi, il famoso messaggio ambientalista ‘ndo stava? si poteva cogliere molto tra le righe, ma non credo proprio che l’americano redneck dell’alabama che va in chiesa tutte le domeniche lo riesca a cogliere. a quello non gli fa un baffo.

altra piccola nota di colore da notare: nella stragrande maggioranza dei film “fantascientifici” e di conseguenza anche in questo, gli extraterrestri hanno una forma uguale a quella umana, hanno due occhi, un naso, due orecchie, scopano come gli esseri umani e hanno il sangue rosso!

domenica, gennaio 17, 2010

soul kitchen



vedendo questa bellissima e convincente pellicola, di una cosa sono certo: quanto ha semplificato e banalizzato le recensioni che si trovano sui giornali.

e la seconda cosa che mi è venuta in mente oggi una volta finita la proiezione è stata: “mammamia che regista poliedrico che è faith akin!”. i suoi precednti lavori gli ho visti tutti e due, sia la sposa turca che ai confini del paradiso; due splendidi film per carità, ma che viaggiavano un po’ sulla falsa riga della zappa sui piedi.

soul kitchen invece è qualcosa di completamente diverso, senza dubbio una commedia in piena regola. non è solo la storia dell’impresa ai coinvolgerti (cosa che accade in molti film di questo genere), ma bensi tutto il contorno che sta a parte, se volessimo usare dei termini culinari. è una di quelle commedie che tiene i registri sempre molto alti, senza mai cadere nel lassismo o, peggio ancora, nel moralismo cinematografico. e secondo me questo non è un aspetto da sottovalutare in virtù soprattutto degli ultimi prodotti che si vedono nelle sale…

non voglio fare come il resto dei censori e stare qui a riassumervi la trama, anche perchè è troppo variegata e rischierebbe quindi di essere soggetta a semplificazioni da parte mia. fidatevi di un consumatore, cinefilo, spettatore (o quello che volete) come me: andatelo a vedere e non vi pentirete.

domenica, novembre 01, 2009

religiolus - vedere per credere



e vabbè… oggi è la giornata delle recensioni.

stavolta si parla di religiolus, il film che ha alzato tanta polemica negli stati uniti e non da noi. semplicemente perchè non lo hanno fatto uscire nelle sale. è un documentario che mette in luce quanto la religione possa muovere e quanto possa centrare al giorno d’oggi nella vita di tutti noi. e di come riesca a regolare persino i maxi sistemi e le maxi potenze del pianeta.

la causa è portata avanti dal celebre comico bill maher, uno dei migliori stan up comedian della storia e diretta dal regista di borat. ti fa fare un viaggio attraverso le credenze e le sette più disparate, oltre che tutte le religioni in generale. vedi gli ebrei che si sono inventati dei marchingeni più disparati per poter aggirare tutti i divieti che ammorbano i loro sabati, come quello di non poter prendere l’ascensore! vedi il fumatone olandese, che si è fondato la sua piccola religione basata sempre su cristo, ma che predica sostanzialmente la marjuana libera per tutti. poi però passi anche a cosa più serie: vedi il bigottismo dei popoli, di come gli americani suddisti credano più in libro scritto duemila anni fa che alla scienza moderna; vedi il parco a tema religioso, l’holy land experience, in florida, dove ricreano tutte le varie scena della vita di gesù cristo fino alla crocifissione; vedi di come alcuni senatori americani rinneghino la teoria dell’evoluzione per invece dar credito a quella di adamo ed eva. bill maher in tutto questo è sfrontato, come è giusto che sia, come è normale per un americano: fa domande dirette, senza pararsi il culo in alcun modo, anzi cerca in tutti i modi di poter confutare le teorie che alcuni estremisti vogliono far credere, riuscendoci pienamente. si viaggia mezzo mondo, dalla palestina all’america; dall’olanda al vaticano e proprio qui, nel cuore dell’attuale sede cristiano-cattolica, viene cacciato fuori senza nemmeno avere l’occasione di poter intervistare il papa o un cardinale qualsiasi. insomma, il film ti fa capire di come la maggior parte del mondo, in realtà sia schiava di una o dell’altra religione e di come, nonostante le prove scientifiche confutino l’esistenza dei vari messia, la gente continui a viaggiare in quella direzione.

era prevedibile che il film non uscisse nel nostro paese, ma in home video o su internet si trova eccome.

diffondetelo, mandatelo in loop nelle scuole, prestatelo, fate il passa parola, ritrovatevi a casa di amici e guardatelo e, forse è la volta buona, che a qualcuno gli si aprono gli occhi.

oggi sposi



mi sembra un fatto oramai consolidato che sia partito un nuovo filone all’interno della commedia italiana, che io chiamo amichevolmente: la commedia alla universal. eh sì, perchè tutte queste nuove pellicole sono distribuite da universal in italia. fatto piuttosto strano che un prodotto autoctono venga distribuito da una casa straniera, vorrà dire che c’hanno fiutato il business. con “commedie alla universal” mi referisco a tutti quei nuovi film che vengono distribuiti nelle sale con: stessi attori, stessi registi e stesso stile cinematografico. ovviamente le tre cose si alternano, non che tutti questi film siano fatti con lo stampino. per rendere meglio l’idea vorrei citarvi qualche titolo, così vi rendete conto. mi riferisco a: lezioni di cioccolato, il giorno più bello, diverso da chi?, oggi sposi. non me ne vengono in mente altri, ma ci saranno sicuramente. tant’è che io molte volte, quando ripenso ad alcune scene di questi film, le mischio; non ricordo più quali sono successo in uno e quali nell’altro. ma andiamo brevemente alla trama e alla dinamica del film in questione:

l’idea è in linea di massima quella di un film corale, un po’ come ex, con sceneggiatura sempre di fausto brizzi, guarda a caso. ci sono quattro coppie che lo stesso giorno e nella stessa città si devono sposare. ovviamente ognuna appartiene a uno strato sociale diverso e ogni matrimonio ha le sue peculiarità: c’è il bel poliziotto che si deve sposare con la figlia del console indiano e deve organizzare il rito indù; c’è la coppia più povera che deve riuscire a scroccare matrimonio e festa all’altra coppia del film, quella celebre e ricca, che dovrà esibirsi in quello che è considerato dai media il matrimonio dell’anno. infine c’è la coppia del vecchio padre che si deve risposare con una giovane ragazza, il figlio sfigato e bacchettone inizialmente si oppene credendo che la ragazza lo faccia solo per avere la ricchezza del padre, che poi è renato pozzetto, ma alla fine il figlio magistrato se ne innamorerà perdutamente e fuggiranno assieme. ecco, fate conto che questa non è mica la trama detta in soldoni, è proprio la trama! non ci sarebbe molto di più da aggiungere, se non che le migliori battute a cui il film si eleva sono frasi del tipo: “Vuoi fare ‘u matrimonio indù? e che è? da solo lo velevi fare?” (questo era un michele placido pugliese che chiedeva informazioni sul matrimonio del figlio).

pure il cast a me ha fatto un po’ storcere il naso: il solito luca argentero, che ormai è da considerare il frontman delle “commedie alla universal”, placido piuttosto mediocre, filippo nigro direi pessimo, cade in un modo straordinario nel clichè dell’uomo sfigone, crescentini piuttosto impacciata nella sua solita parte e pure la coppia montanari-pession non mi ha fatto impazzire. bravi invece il mitico franesco pannofino, isabella ragonese, dario bandiera e hassan shapi, anche se quest’ultimo faceva la parte allo stesso modo che in lezioni di cioccolato.

in tutti i casi vi sconsiglio di andarlo a vedere in una sala cinematografica.

capitalism: a love story



credo sia il film più impegnato, difficile e meno pop che michael moore abbia fatto. la sua solita sagace ironia comunque non manca.

come suggerisce il titolo il film ironizza e fa del sarcasmo su come possa essere visto in maniera giusta il capitalismo negli stati uniti, ma in realtà non lo sia. ora, non mi metterò qui a riassumere la trama di un documentario anche perchè credo che di senso ne avrebbe ben poco. l’unica cosa che mi sento di dire è che è un film che fa riflettere sulla tanto idolatrata società americana, su come in realtà pure là il potere sia in mano al solo 1% della popolazione e il restante 95 sta praticamente con le pezza al culo. indirettamente secondo me vuole creare un tramite con la politica del socialismo, di come a confronto di quella capitalista non presenti falle e di come in quel modo il potere non si vada ad oligarcizzare nelle mani di pochi. nella parte finale del film si illustra come l’america ora, però, stia cambiando, soprattutto dopo l’avvento di obama. di come anche là cominciano a nascere le prime realtà cooperative e le prime comunità di cittadini e di come, più in generale, il ceto medio-basso si sia rotto il cazzo degli strapoteri dell’elitè. una delle cose che mi ha colpito è stato il fatto di come una serie di manifestazioni e rivolte dei lavoratori, in famose fabbriche o società degli stati uniti, da noi non siano mai giunte tramite i media. quantomeno io non ne ero a conoscenza.

diciamo quindi che il buon vecchio e caro michael moore, questa volta, non punti più il dito solo verso l’amministrazione bush, ma contro trent’anni di devastante politica e contro le diverse lobby che di fatto hanno in mano interessi non solo americani, ma piuttosto mondiali.

questo film invece, andatelo a vedere.

piesse: notevole l’internazionale in versione jazz (alla richard cheese) che chiude il film. scelta azzeccata.

domenica, ottobre 04, 2009

bastrdi senza gloria - inglorious bastards



posto che io non potrei mai recensire un film del Maestro (tarantino) in maniera obbiettiva, proverò lo stesso a cimentarmi in questa dura impresa.

ho voluto vederlo subito, avevo già aspettato troppo, ma allo stesso tempo non volli scaricarlo in lingua originale, per potermelo godere con tutto il fascino di una sala cinematografica attorno, come è giusto che sia per un film di tarantino.

sono entrato nel cinema di corsa, senza sapere nemmeno la trama. non la ho voluta sapere! volevo gustarmelo dal primo all’ultimo minuto e così è stato. ho avuto quasi una paresi alla bocca a furia di tenerla aperta per ben due ore e mezza, ma dopotutto era la migliore espressione di ammirazione che potessi scaturire in quel momento. bellissimo, avvincente e passionale in tutte le sue parti. tarantino è tornato alla grande, anche se per me non se n’è mai andato. mi piacque assai anche grindhouse, che molti negli states, invece, urlarono al fiasco. ecco, qui abbiamo il tarantino più classico assieme a quello che si è evoluto, che si è raffinato. già l’idea di riscrivere la storia del nazismo la trovo geniale, un’idea non frustrata da come invece sono andati realmente i fatti storici, un’idea che si sposa a meraviglia con la settima arte.

un battaglione di “gloriosi” bastardi senza troppi ritegni morali (cosa che invece solitamente sta cara agli americani), mette in atto un attentato a hitler e a tutte le alte sfere del terzo reich. un attentato mai verificatosi nel corso della storia, ma non per questo non è efficace cinematograficamente. qui tarantino lascia che il cinema sia cinema in un cinema, ovvero la storia fa il suo decorso che più starebbe a cuore allo spettatore in un cinema, il luogo dell’attentato. a differnza di altri film con una parvenza di realtà storica, ad esempio operazione valchiria, il film si conclude come ogni bambino sognerebbe, che il piano vada a buon fine. e così tarantino riesce a coadiuvare alla perfezione sia il corso della nostra fantasia, che una sfrenata passione per il cinema, riversata fino all’ultimo goccio anche in questa pellicola.

brad pitt fa morire nella parte del comandante del battaglione, dopo burn after reading, si riconferma un attore, forse non più tanto bello e nel fiore dell’età, ma sicuramente con un talento. strepitoso cristoph waltz, nel ruolo del colonnello delle esse-esse più stronzo, affabile e quasi simpatico che mai. ma anche eli roth, “orso ebreo”, riesce a tenere ottimamente spalla a brad pitt.

ritorno di fiamma per tarantino, che se non te lo dicessero, non ti accorgeresti nemmeno di essere stato seduto su quella poltrona di quel cinema per due ore e mezza. andate a vederlo e a rivederlo se necessario, ma sicuramente non perdetevelo.

whatever works - basta che funzioni



è tornato allla grande pure lui, il solo e unico woody allen.

è un'amabilissima commedia ambientata nella tanto cara (ad allen) new york. è la storia di questo quasi premio nobel per la fisica, boris yellnikoff e delle persone che ruotano attorno a lui. dapprima raccatta questa ragazza, quasi vagabonda e molto ignorante e se la porta in casa, nonostante le sue primarie fobie o paure degli estranei. implicitamente le passa quella che per lui è cultura e conoscenza e dopo un po' di tempo, accetta la proposta della ragazza, di sposarlo. da qui in poi entreranno in gioco le altre due figure fondamentali della pellicola: la madre e il padre della ragazza. divorziati, chè il padre è scappato con la migliore amica della madre, suddisti, religiosi e bigotti. entrambi, in brevissimo tempo, diventeranno due persone totalmente diverse; come se a frequentare new york e le compagnie giuste, qualcosa possa scattare e aprirgli gli occhi.

una commedia positivista in tutto e per tutto con un finale altrettanto felice ed apprezzabile. gli scambi di battute molte volte sono fulminanti come solo woody allen riesce a concepire (vi ricordate i suoi monologhi sull'esistenza di dio?). il cast è composto da attori semi-sconosciuti al grande pubblico, ma non per questo sono meno validi delle star.

mi è piaciuto moltissimo l'irrompere del protagonista sul pubblico, ovvero il così detto sfondamento della quarta parete, in teatro molto usato da bertold brecht. il monologo iniziale e quello finale di boris, sono due autentici pezzi di commedia alla allen, dove si naviga per universi paralleli e perpendicolari facendo quasi fatica a capire il senso generale del discorso. ma è il loro bello!

ultimo consiglio: se vi capite, andate a vedere il film in lingua originale (sottotitolato ovviamente), ne vale sicuramente la pena.

lunedì, settembre 21, 2009

videocracy - basta apparire



partiamo dal presupposto che è un film, un documentario, fatto apposta per gli stranieri. per far capire loro come funziona la realtà televisiva italiana. i contenuti per una persona informata nell media sono noti, ma sono comunque messi giù in maniera chiara, pragmatica ed efficace. però credo sia utile vederlo perchè, nel caso qualcuno se ne fosse dimenticato, gli si ricorda che il nostro difatti è il paese di pulcinella. un paese dove potere d’apparire (televisivo) e potere politico sono la stessa meedesima cosa. un paese che di fatto è cambiato trent’anni fa con l’entrata in campo delle televisioni di silvio berlusconi e della sua piccola (allora) realtà imprenditoriale. recita correttamente il trailer del film: trent’anni fa c’è stata una rivoluzione in italia, un innesco di cui ora stiamo pagando le conseguenze.

personalmente ho apprezato molto il lato “umano” del film. la storia di questo ragazzo bresciano che fa di tutto per inseguire il suo sogno, quello di lavorare in televisione. ti dà un taglio pazzesco, netto, decisivo di cosa sia in grado di fare la televisione, della sua potenza. è un film che fa a tratti ridere, o sorridere, perchè sennò ci sarebbe da piangere. bestiale sentire le dichiarazioni di corona, di come fino a quel momento non si fosse mai chiesto del perchè la gente lo segue. solo dopo la domanda del regista, lui risponde: “eh vedi, non lo so. mi ci fai pensare tu adesso per la prima volta.”. il film inoltre delinea in maniera piuttosto netta questo nuovo personaggio del robin hood del duemila: prende agli altri per dare a sè stesso. corona fa questo da anni e riscuote un successo enorme. bisognerebbe incominciare a porsi dei pali interrogativi.

insomma, il fotofinish del film è di come la realtà italiana tutta ruoti straordinariamente attorno a quella televisiva. di come dei coglioni come briatore, lele mora, corona e perchè il nostro stesso presidente del consiglio, in altri paesi non verrebbero presi seriamente manco per sbaglio. ho apprezzato anche la “poetica” da parte del regista di non chiamare mai berlusconi con il suo nome, ma piuttosto con l’epiteto di Presidente, modi quello di fantozzi.

sicuramente per questo film, la censura dei trailer da parte di rai e mediaset è stata solo una manna dal cielo, ha fatto scalpore e quindi attratto molta più gente del previsto. e questo a riconfermare che coloro che pilotano i principali network italiani, siano gente che non sta lì per dei meriti intellettuali. che poi sono la stessa gente, gli stessi piloti.

lunedì, agosto 17, 2009

cambiamenti nell'aere

dal momento che oramai il cineforum è piuttosto morto, o quantomeno rimasto in standby, da oggi questo blog si concentrerà solo sulle recensioni di film e serie tv. prevalentemente film direi.
a presto

lo staff

domenica, luglio 19, 2009

fortapàsc



la cosa che colpisce più del film è la sua naturalezza e schiettezza. si tratta infatti di una pellicola acqua e sapone, ma non per questo scontata, anzi attraverso questa storia si vanno a toccare corde molto profonde.

giancarlo siani è stato un vero e proprio eroe, un saviano degli anni’80, ma senza scorta. uno dei pochi giornalisti seppur non ancora professionista, che credeva nella vera essenza di quel mestiere. con la morte di giancarlo siani, è stata messa una benda sulla bocca del giornalismo italiano tutto, ma questa è solo una dell einnumerevoli vicende. il manifesto del film rievoca piuttosto bene questa sensazione. beh, la storia è ovviamente scontata: l’eroe alla fine muore, altro che èppi ending. molto intenso anche l’inizio dell’opera, dove la voce del personaggio si estranea un attimo dal contesto e dice che se avesse saputo che quelli erano i suoi ultimi cinque minuti di vita, forse non avrebbe ascoltato vasco rossi alla radio. poi flescbec e la storia inizia dall’inizio.

libero de rienzo veramente spettacolare, non solo nella rassomiglianza fisica, ma nei modi di fare, tant’è che sembrava di rivedere un siani ancora tra il mondo dei vivi. torno a ripetere: la regia aveva un chè di televisivo, ma tuttosommato non stonava mica troppo dal contesto, insomma è pur sempre lo stile della famiglia risi. personalmente mi ha toccato molto di più un film del genere che gomorra, il quale ogni giorno che passa lo trovo sempre più una trovata commerciale e poco altro. la naturalezza che invece trasale da questa pellicola è unica, in un’ora e mezza riesci ad affezzionarti a questo personaggio quasi fosse un fratello. peccato per la ridotta distribuzione, ma ne vale sicuramente la pena. poi, vedere un film del genere in una città come milano, risulta ancora più strano che a circa 700km da essa siano successe e continuino a verificarsi situazioni del genere, alla far west. curioso anche il titolo del film, che proviene da una frase scritta dallo stesso siani in un articolo per il mattino di napoli; egli definisce torre annunziata, luogo tutt’ora colpito massicciamente dalla camorra, un fort apache, ovvero un luogo senza via di scampo.

una cosa su cui mi sto ancora interrogando da quando ho visto il film è il finale. ve lo svelo, ma tanto sapete già come è andata a finire. l’ultima scena del film è quello dove due killer sparano cinque colpi al giornalista, dopodichè c’è un controcampo sul suo corpo riverso e insanguinato e di sfondo i due assassini che se ne vanno. quello che mi chiedo è: era proprio necessario fare quest’ultima inquadratura? non poteva funzionare meglio tagliando sulla faccia di siani nei suoi ultimi istanti di vita? però poi mi son detto: così sarebbe come non guardare in faccia alla realtà, è giusto invece vedere cos’hanno combinato realmente i camorristi, senza mezzi termini e seppure l’immagine possa risultare un po’ forte, è giusto che sia così. e se però avesse tagliato dalla panoramica dall’alto quando lui è ancora in macchina e sta viaggiando? insomma alla fine della stessa scena iniziale. credo che facendolo finire in questo modo, abbiano voluto tatuarcelo nel cervello, in modo da non poter dimenticare.

principessa




avete presente il peggior film che avete visto nella vostra vita? ecco, dimenticatelo. perchè nulla sarà più brutto e bigotto di questo!

non voglio nemmeno sprecare tempo a spiegarvi la trama, vi basti sapere che è la più anacronistica delle storie che financo i fratelli grimm si sarebbero rifiutati di raccontare. la ragazza mentalmente instabile che si innamora del ricco pulzello ma viene respinta dalla madre stronza. ecco in sedici parole riassunta la storia. recitazione di basso livello (fatta esclusione per piera degli esposti, ma poi anche lei nn è che sia questo granchè), tant’è che la protagonista recita come ruolo minore nella soap centovetrine. un regista che era meglio andasse a fare il manager o l’impiegato delle poste. il bello di tutto ciò è che ne parlo perchè conosco personalmente il regista e il babbo che c’ha messo i soldi per realizzare la pellicola (un milione di euro perchè il pargolo voleva provare l’ebrezza di girare in 35mm.). il giovane regista, classe 1981 (e compagno di scuola di mia cugina), debutta sicuramente con un fallimento. la scuola di bellocchio fa curriculum, è vero, ma bisogna anche esser capaci di muovere una macchina da presa, metercisi dietro e raccontare una bella storia.

non vi dico di non andarlo a vedere, anzi, bisogna testare coi propri occhi cosa significa un film del genere. e inoltre in questo modo potrete eliminare dalla vostra lista di film brutti ogni tipo film. ragazzi, questo sbaraglia proprio tutti!

the butterfly effect



chi di voi non ha mai sentito parlare del tanto famoso effetto. “se una farfalla sbatte le ali a zurigo, provoca un temporale a tokyo”. fa parte della teoria del caos. teoria del cazzo, aperta e chiusa parentesi. il film è anche abbastanza interessante, anche se nel suo genere abbastanza scontato (donnie darko).

il film si divide in tre blocchi della vita di evan: uno nell’età infantile, un altro nell’età adolescenziale e l’ultimo nonchè quello attuale nell’età adulta ma pur sempre ggggiovane. la sua vita ha qualche intoppo e anche le persone e i vecchi amici che lo circondano non sono messi benissimo. bisognova avere un pretesto, sennò il film perchè lo si stava a fare?

fin da bambino evan presentava ogni tanto dei bug, dei vuoti di memoria che non riusciva a colmare, così scriveva su dei diari quando accadevano. con l’avanzare degli anni scopre di avere il potere di reintrodursi nei ricordi e poterli modificare; facendo questo può ovviamente cambiare le varie situazioni, ma man mano che va avanti la situazione per lui diventa sempre più insostenibile, finendo dapprima in un carcere di nazisti, poi con gli arti amputati e infine in un manicomio. poi con l’ultimo “viaggio” finale riesce a sistemare le cose allontando da sè, sin da quando erano bambini, la ragazza che secondo lui era al fulcro della situazione e quindi la causa di tutti i problemi.

ora, come soggetto non è male: alla genta piace parlare di queste teorie assurde, piace intripparsi sulle coincidenze e sulla causalità, ma oltre questo il film non va molto più in là. roba trita e ritrita del cinema sci-fi americano. insomma tanto per darvi un’idea, come già citato prima, donnie darko sta decisamente su un altro piano. l’idea non è delle più originali, ma il film ce lo si gusta comunque volentieri, basta non essere torppo disturbati psichicamente…

piesse: scusate per il solito trailer in lingua originale.

generazione mille euro



accidenti, niente male il nuovo film di massimo venier. mi fido te, quello precedente con ale e franz, non è che mi avesse fatto impazzire. tutta roba già più o meno vista. generazione mille euro invece è qualcosa di nuovo, non troppo, ma abbastanza.

matteo moretti è un giovane trentenne e matematico piuttosto brillante che percepisce 1000€ al mese da un’azienda che gli fa cagare ed è sempre sull’orlo del precariato. inoltre tiene delle supplenze presso l’università per soddisfare le esigenze del suo vecchio prof. insomma, come la maggior parte dei giovani che abitano oggi questo paese. divide la casa con un amico proiezionista, ma l’affitto tra le varie cose è troppo caro. si insedia così una bella ragazza in modo da poterli supportare nel dividere il costo dell’affitto. ovviamente il nostro protagonista si innamora di lei una volta che è stato scaricato dalla sua ex. ma non è la sola, difatto pure il suo capo, interpretato dalla bella carolina crescentini, imbastisce una storia con lui. due storie da portare avanti su due binari completamente diversi ma allo stesso tempo paralleli. matteo avrà la possibilità di riscattare il proprio lavoro partendo per barcellona con il suo “capo”, ma alla fine sceglierà di restare con gli amici, il suo vero amore (l’altra) e senza lavoro. in poche parole il più classico degli idealisti-altruisti, quelli che nella realtà non si incotrano mai.

interpreti bravi: alessandro tiberi si conferma una nuova stella nascente del cinema italiano. è bravo! ma anche il resto del cast non è da meno, come la figura classica dell’amico interpretato da francesco mandelli, il popolare vigei di emmtivì. la location, come tutti i film di venier, è milano e che effettivamente si sposa bene con il tema principale della finanza spietata. dopodichè è il film è pur sempre un film, tutto è abbastnza ovattato, diciamo che tirando le somme è il tema dell’amiciza e dell’amore che prevale più che quello del precariato, ma va benissimo così. è pur sempre un bel film. ho anche capito che lo stile di massimo venier è quello che forse mi appartiene di più, soprattutto per ciò che concerne l’uso dell’immagine: a metà tra uno stile “classico” e quindi statico e uno decisamente più moderno, quindi che veloci movimenti di macchina e montaggio piuttosto serrato. ho speso volentieri i soldi del biglietto!

piesse: qualcuno di voi sa come mai nei titoli di coda c’è un ringraziamento al mitico libero “picchio” de rienzo?

rocknrolla



è il caso di chiamarlo l’ultimo capolavoro di guy ritchie. proprio lui: l’ex marito di madonna. dopo snatch si riconferma il cortoon-director che è sempre stato. difatti andando a vedere rocknrolla, tratto per altro dall’omonimo fumetto scritto e disegnato dallo stesso regista, sembra proprio di gustarsi uno dei più classici comics americani.

la storia è piuttosto intensa e non facilmente riassumibile in poche righe; porta avanti più storie sullo stesso piano, difatti è anche difficile stabilire un vero e proprio protagonista della pellicola. in buona sostanza vi sono questi due gangster da due soldi, la classica figura del ladro buono, che hanno una soffiata per prelevare sette milioni di sterline dalla stessa persona a cui poi le devono dare. il colpo viene portato a termine brillantemente, questo fatto è dovuto anche alla scarsa sicurezza con cui viaggiavano i contabili. vi sarà poi un secondo colpo, decisamente più faticoso e doloroso. tutto per ripagare il capo della città – londra – e poter così sopravvivere. allo stesso tempo lenny cole, il capo appunto, va in affari con un ricco miliardario russo, che nel film si rifà evidentemente ad abramovich, il quale gli presterà il suo quadro portafortuna, ma lo sbadato lenny se lo farà rubare poche ore dopo. tutte le prove riconducono a johnny quidd, una rockstar strafatta, nonchè figliastro di lenny cole. la persona che fornisce i colpi da fare ai due gangster è un’affascinante contabile che allo stesso tempo si occupa degli affari del miliardario russo. capirete quindi anche voi che si tratta di una trama piuttosto intrecciata e difficile da schematizzare razinalmente nella propria testa.

il film comunque è ben fatto, un ottimo uso della camera, una fotografia scura, ma allo stesso tempo grottesca e appasionante. è il classico action-commedy, anche se in relazione ci si diverte di più che restare col fiato sospeso. personalmente mi han fatto sbarellare i titoli di testa, tutti comicsati e con un classicissimo rock’n roll in background. la performance degli attori nel complesso niente male, difatto non ci sono grossi nomi da star, fatta eccezione per il quasi irriconoscibile tom wilkinson, che interpreta per l’appunto lo sfacciato lenny cole. dopodichè non è alto cinema, intendiamoci. ma sono due ottime ore spese dietro a un bel divertimento.

fuga dal call center (fdcc)



perchè sono andato a vedere questo film? semplice! principalmente per du motivi: 1) perchè ci recitava dentro un mio conoscente. 2) perchè è un film distribuito solo in tre sale in tutta italia e ne consegue che dev’essere piuttosto interessante… almeno io ragiono così.

è una commedia, che ha sia del drammatico che del grottesco, ma tutto ammalgamato assai bene e con un principio: lanciare un messaggio d’allarme!

gianfranco è un vulcanologo appena laureato con tanto di lode, ma l’unico appiglio che riesce a trovare per sopravvivere è lavorare nove ore al giorno in call center, ovviamente nella sezione “di quelli laureati con lode”, per uno stipendio di appena più di cinquecento euro al mese. la sua ragazza, ancora laurenda, lavor come cameriera e porta a casa appena più di lui. inutile dire che, seppur convivendo, con due stipendi del genere si arriva a fatica a fine mese. dovranno quindi inventarsi vari modo per poter tirare avanti (lui andrà a fare le pulizie dai filippini, lei lavorerà presso un call center erotico), considerando che lo stesso gian viene declassato di ruolo per insubordinazione. insomma, la fuga è aspirata, ma non c’è. vedendo questo film ci si rende conto come molte volte si è legati come degli schiavi a un lavoro. ti tengono per le palle! o quello oppure ti dai al barbonaggio.

non vi preoccupate, nonostante l’importanza del tema, federico rizzo ce lo fa arrivare con un freschezza e una brillantezza che non è da tutti, se non da finish! se vi interessa, una delle tre sale dove è stato distribuito è a milano, al glorioso cinema mexico (zona navigli). assolutamente da non perdere!

piesse: vi segnalo anche il sito, che è fatto piuttosto bene.

Ricordi I