domenica, novembre 01, 2009

capitalism: a love story



credo sia il film più impegnato, difficile e meno pop che michael moore abbia fatto. la sua solita sagace ironia comunque non manca.

come suggerisce il titolo il film ironizza e fa del sarcasmo su come possa essere visto in maniera giusta il capitalismo negli stati uniti, ma in realtà non lo sia. ora, non mi metterò qui a riassumere la trama di un documentario anche perchè credo che di senso ne avrebbe ben poco. l’unica cosa che mi sento di dire è che è un film che fa riflettere sulla tanto idolatrata società americana, su come in realtà pure là il potere sia in mano al solo 1% della popolazione e il restante 95 sta praticamente con le pezza al culo. indirettamente secondo me vuole creare un tramite con la politica del socialismo, di come a confronto di quella capitalista non presenti falle e di come in quel modo il potere non si vada ad oligarcizzare nelle mani di pochi. nella parte finale del film si illustra come l’america ora, però, stia cambiando, soprattutto dopo l’avvento di obama. di come anche là cominciano a nascere le prime realtà cooperative e le prime comunità di cittadini e di come, più in generale, il ceto medio-basso si sia rotto il cazzo degli strapoteri dell’elitè. una delle cose che mi ha colpito è stato il fatto di come una serie di manifestazioni e rivolte dei lavoratori, in famose fabbriche o società degli stati uniti, da noi non siano mai giunte tramite i media. quantomeno io non ne ero a conoscenza.

diciamo quindi che il buon vecchio e caro michael moore, questa volta, non punti più il dito solo verso l’amministrazione bush, ma contro trent’anni di devastante politica e contro le diverse lobby che di fatto hanno in mano interessi non solo americani, ma piuttosto mondiali.

questo film invece, andatelo a vedere.

piesse: notevole l’internazionale in versione jazz (alla richard cheese) che chiude il film. scelta azzeccata.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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