domenica, novembre 01, 2009

religiolus - vedere per credere



e vabbè… oggi è la giornata delle recensioni.

stavolta si parla di religiolus, il film che ha alzato tanta polemica negli stati uniti e non da noi. semplicemente perchè non lo hanno fatto uscire nelle sale. è un documentario che mette in luce quanto la religione possa muovere e quanto possa centrare al giorno d’oggi nella vita di tutti noi. e di come riesca a regolare persino i maxi sistemi e le maxi potenze del pianeta.

la causa è portata avanti dal celebre comico bill maher, uno dei migliori stan up comedian della storia e diretta dal regista di borat. ti fa fare un viaggio attraverso le credenze e le sette più disparate, oltre che tutte le religioni in generale. vedi gli ebrei che si sono inventati dei marchingeni più disparati per poter aggirare tutti i divieti che ammorbano i loro sabati, come quello di non poter prendere l’ascensore! vedi il fumatone olandese, che si è fondato la sua piccola religione basata sempre su cristo, ma che predica sostanzialmente la marjuana libera per tutti. poi però passi anche a cosa più serie: vedi il bigottismo dei popoli, di come gli americani suddisti credano più in libro scritto duemila anni fa che alla scienza moderna; vedi il parco a tema religioso, l’holy land experience, in florida, dove ricreano tutte le varie scena della vita di gesù cristo fino alla crocifissione; vedi di come alcuni senatori americani rinneghino la teoria dell’evoluzione per invece dar credito a quella di adamo ed eva. bill maher in tutto questo è sfrontato, come è giusto che sia, come è normale per un americano: fa domande dirette, senza pararsi il culo in alcun modo, anzi cerca in tutti i modi di poter confutare le teorie che alcuni estremisti vogliono far credere, riuscendoci pienamente. si viaggia mezzo mondo, dalla palestina all’america; dall’olanda al vaticano e proprio qui, nel cuore dell’attuale sede cristiano-cattolica, viene cacciato fuori senza nemmeno avere l’occasione di poter intervistare il papa o un cardinale qualsiasi. insomma, il film ti fa capire di come la maggior parte del mondo, in realtà sia schiava di una o dell’altra religione e di come, nonostante le prove scientifiche confutino l’esistenza dei vari messia, la gente continui a viaggiare in quella direzione.

era prevedibile che il film non uscisse nel nostro paese, ma in home video o su internet si trova eccome.

diffondetelo, mandatelo in loop nelle scuole, prestatelo, fate il passa parola, ritrovatevi a casa di amici e guardatelo e, forse è la volta buona, che a qualcuno gli si aprono gli occhi.

oggi sposi



mi sembra un fatto oramai consolidato che sia partito un nuovo filone all’interno della commedia italiana, che io chiamo amichevolmente: la commedia alla universal. eh sì, perchè tutte queste nuove pellicole sono distribuite da universal in italia. fatto piuttosto strano che un prodotto autoctono venga distribuito da una casa straniera, vorrà dire che c’hanno fiutato il business. con “commedie alla universal” mi referisco a tutti quei nuovi film che vengono distribuiti nelle sale con: stessi attori, stessi registi e stesso stile cinematografico. ovviamente le tre cose si alternano, non che tutti questi film siano fatti con lo stampino. per rendere meglio l’idea vorrei citarvi qualche titolo, così vi rendete conto. mi riferisco a: lezioni di cioccolato, il giorno più bello, diverso da chi?, oggi sposi. non me ne vengono in mente altri, ma ci saranno sicuramente. tant’è che io molte volte, quando ripenso ad alcune scene di questi film, le mischio; non ricordo più quali sono successo in uno e quali nell’altro. ma andiamo brevemente alla trama e alla dinamica del film in questione:

l’idea è in linea di massima quella di un film corale, un po’ come ex, con sceneggiatura sempre di fausto brizzi, guarda a caso. ci sono quattro coppie che lo stesso giorno e nella stessa città si devono sposare. ovviamente ognuna appartiene a uno strato sociale diverso e ogni matrimonio ha le sue peculiarità: c’è il bel poliziotto che si deve sposare con la figlia del console indiano e deve organizzare il rito indù; c’è la coppia più povera che deve riuscire a scroccare matrimonio e festa all’altra coppia del film, quella celebre e ricca, che dovrà esibirsi in quello che è considerato dai media il matrimonio dell’anno. infine c’è la coppia del vecchio padre che si deve risposare con una giovane ragazza, il figlio sfigato e bacchettone inizialmente si oppene credendo che la ragazza lo faccia solo per avere la ricchezza del padre, che poi è renato pozzetto, ma alla fine il figlio magistrato se ne innamorerà perdutamente e fuggiranno assieme. ecco, fate conto che questa non è mica la trama detta in soldoni, è proprio la trama! non ci sarebbe molto di più da aggiungere, se non che le migliori battute a cui il film si eleva sono frasi del tipo: “Vuoi fare ‘u matrimonio indù? e che è? da solo lo velevi fare?” (questo era un michele placido pugliese che chiedeva informazioni sul matrimonio del figlio).

pure il cast a me ha fatto un po’ storcere il naso: il solito luca argentero, che ormai è da considerare il frontman delle “commedie alla universal”, placido piuttosto mediocre, filippo nigro direi pessimo, cade in un modo straordinario nel clichè dell’uomo sfigone, crescentini piuttosto impacciata nella sua solita parte e pure la coppia montanari-pession non mi ha fatto impazzire. bravi invece il mitico franesco pannofino, isabella ragonese, dario bandiera e hassan shapi, anche se quest’ultimo faceva la parte allo stesso modo che in lezioni di cioccolato.

in tutti i casi vi sconsiglio di andarlo a vedere in una sala cinematografica.

capitalism: a love story



credo sia il film più impegnato, difficile e meno pop che michael moore abbia fatto. la sua solita sagace ironia comunque non manca.

come suggerisce il titolo il film ironizza e fa del sarcasmo su come possa essere visto in maniera giusta il capitalismo negli stati uniti, ma in realtà non lo sia. ora, non mi metterò qui a riassumere la trama di un documentario anche perchè credo che di senso ne avrebbe ben poco. l’unica cosa che mi sento di dire è che è un film che fa riflettere sulla tanto idolatrata società americana, su come in realtà pure là il potere sia in mano al solo 1% della popolazione e il restante 95 sta praticamente con le pezza al culo. indirettamente secondo me vuole creare un tramite con la politica del socialismo, di come a confronto di quella capitalista non presenti falle e di come in quel modo il potere non si vada ad oligarcizzare nelle mani di pochi. nella parte finale del film si illustra come l’america ora, però, stia cambiando, soprattutto dopo l’avvento di obama. di come anche là cominciano a nascere le prime realtà cooperative e le prime comunità di cittadini e di come, più in generale, il ceto medio-basso si sia rotto il cazzo degli strapoteri dell’elitè. una delle cose che mi ha colpito è stato il fatto di come una serie di manifestazioni e rivolte dei lavoratori, in famose fabbriche o società degli stati uniti, da noi non siano mai giunte tramite i media. quantomeno io non ne ero a conoscenza.

diciamo quindi che il buon vecchio e caro michael moore, questa volta, non punti più il dito solo verso l’amministrazione bush, ma contro trent’anni di devastante politica e contro le diverse lobby che di fatto hanno in mano interessi non solo americani, ma piuttosto mondiali.

questo film invece, andatelo a vedere.

piesse: notevole l’internazionale in versione jazz (alla richard cheese) che chiude il film. scelta azzeccata.

Ricordi I